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sabato 10 marzo 2012

Un fiore tra i reticolati

image courtesy
Post di Giovanni
Avevo scoperto l'amore per la musica sin da quando ero ragazzino. La mia inclinazione era stata così evidente che i miei genitori erano stati indotti a prendere una decisione di cui continuo sempre ad essere loro grato.
Avevo da poco compiuto dieci anni quando mi mandarono a frequentare lezioni di pianoforte dalla
brava signora Marchi. Non potevo immaginare quale importanza avrebbe avuto la musica in un periodo tremendamente difficile della mia vita da lì a qualche anno.
A quel tempo seguivo con passione i concerti trasmessi dalla radio, dai quali traevo ispirazione per le esercitazioni con il vecchio pianoforte lasciatoci dalla zia Teresa insegnante di musica.
Quello strumento rimasto inutilizzato per diversi anni si era rivelato preziosissimo per me.
Era sistemato in una piccola stanza, una volta adibito a salottino, ove vi era un caminetto che, anche se spento, contribuiva a creare un'atmosfera di intimità adatta per il raccoglimento e lo studio.
Dopo il liceo quando i miei coetanei si dibattevano fra angosciosi dubbi circa il seguito degli studi, io avevo una certezza: dedicarmi alla musica.
Così mi iscrissi al conservatorio.
Trascorsi ore ed ore nella stanzetta con il caminetto cercando di perfezionare sempre più l'esecuzione delle opere dei grandi musicisti del passato. A quel tempo frequentavo pochi amici e specialmente Oreste per affinità culturali e propensione ai sogni sul nostro futuro. Talvolta, nelle serate d'estate, egli accompagnava con la chitarra i cori che, con gli amici, intonavamo nel mio giardino ricco di piante e fiori curati dalla mamma ma anche dal papà nelle sue poche ore libere. Una vita serena non insidiata da cattiverie né difficoltà economiche e senza le malinconie dell'età matura. Certo avevo delle malinconie giovanili dalle quali scaturiva poesia e musica.
Poi arrivò la tragedia della guerra. Era cominciata come un brontolio di un temporale lontano poi sempre più vicino e violento. Vecchi equilibri sconquassati, piani per l'avvenire annientati, sostituiti dalla precarietà.
Avevo appena conseguito il diploma che mi trovai in divisa in una caserma: chiamata alle armi. Seconda guerra mondiale. Nel settembre del '43 fui fatto prigioniero dai tedeschi, caricato su un carro bestiame ed inviato in un campo di concentramento.
Dai ricordi del tempo felice traevo consolazione e forza d'animo. Anche quella mattina nella sala d'aspetto della palazzina ove abitava il comandante del campo. Avevo avuto diverse volte occasione di incontrare il capitano Ditrich. Mi aveva colpito, pur nella rigidità militare, il modo umano di trattare. Cosa assai rara in quel campo ove gli ordini venivano urlati con le minacce annunciate per la minima infrazione.
Quando mi presentai ero pieno di dubbi e non lieti pensieri affollavano la mia mente.
Il capitano era in piedi dietro la sua scrivania. Alto, magro, con i capelli brizzolati tagliati a spazzola e l'aspetto marziale che incuteva timore. Dovette leggere nella mia espressione i pensieri che mi agitavano perché cambiò subito atteggiamento e finanche sorrise consentendomi di abbandonare la posizione di attenti.
Entrò subito in argomento.
“Avrei bisogno di qualcuno che aiuti mia figlia a tenere in ordine la casa. Potrei obbligare ma non lo faccio mai. Saresti disposto? Se accetti ci metteremo d'accordo”. Figurarsi se non avrei accettato.
Quando entrai per la prima volta nella palazzina sita fuori dal campo (“vai pure tanto non puoi scappare” fu il beffardo lasciapassare della sentinella) in attesa di essere ricevuto sostai nella sala d'aspetto.
Rimasi affascinato, quasi commosso dal suono di un pianoforte proveniente dal salone adiacente.
L'aria era pervasa dalle note alte di Beethowen. Conoscevo bene quel pezzo, l'avevo suonato tante volte. Entrai in uno stato quasi di estasi per quella musica amata che mi accoglieva in una situazione così difficile. Pensai al mio pianoforte vicino al caminetto, l'angolo della casa che più amavo, ove mi ritiravo per scrivere ed esercitarmi. Oh quel caminetto di casa mia come era lontano!
Come in tutti i momenti di sconforto mi apparve il volto di mia madre. Pensavo “povera mamma chissà come soffrirà sapendomi in un punto per lei sconosciuto della Germania”. La vidi inginocchiata dinanzi all'immagine della Madonna con le mani unite in atteggiamento di supplica e le lacrime agli occhi. Fui afferrato da una nostalgia cocente che quasi mi fece dimenticare la frustrazione del vivere quotidiano, del pezzetto di pane duro atteso con ansia per quella fame senza fine.
La musica cessò di colpo e poco dopo una voce argentina e gentile mi salutò “Herr Galleani?” Qualcuno mi si rivolgeva chiamandomi “Signore”. Da una emozione passavo ad un'altra e non era che il principio. Conoscevo il tedesco ed intavolai il discorso con una disinvoltura inimmaginabile solo un momento prima dinanzi a quella ragazza che a me parve di una bellezza straordinaria. Da quanto tempo non vedevo e parlavo con una donna?
Incoraggiato dissi che amavo la musica e che quel pezzo che avevo udito lo conoscevo bene.
Parlando eravamo giunti nel salone. Indicandomi il pianoforte ella mi disse “provi a suonare qualche cosa”. L'invito mi era stato fatto per controllare quanto avevo asserito o per pura cortesia o simpatia a prima vista? Non lo so. Attaccai con il “chiaro di luna”.Trasfusi in quelle note il mio stato d'animo, la mia solitudine, le mie incertezze. Suonai sfiorando i tasti rapito da un'altra dimensione: la mia, l'autentica mia identità.
“Lei suona molto bene. La ringrazio”.
Era dolce e umanissima. Mi trasmise subito il senso della dignità. Non ero più un semplice prigioniero affamato. Ero un musicista capace di suscitare emozioni.
Appena finiti i lavori, talvolta anche prima, Ellen mi chiedeva di suonare per lei. Mi cimentai con  “Les Préludes” di Listz. Un giorno mi venne d'istinto di attaccare con l'aria del Nabucco “oh mia patria si bella e perduta...”. Ero esaltato, commosso. Ci misi l'anima. Fra noi si era stabilita un'intesa, la capacità di capirsi e attraverso la musica parlare delle nostre vite. Un giorno mi chiese di parlare dell'Italia.
Poi sempre più incuriosita, della mia casa.
Toccammo il culmine della confidenza quando mi disse “mi parli della sua mamma. Io l'ho perduta assai presto”. Poi aggiunse con una nota di profonda malinconia “troppo presto”.
Ellen era sensibile e colta, amava la musica e la poesia. Un giorno la mandai in estasi recitando una poesia di Hermann Hesse: “Den Flugen du, die Geige ich... (il pianoforte tu, il violino io, così suoniamo e non finiamo mai ed aspettiamo ansiosi, tu ed io, chi romperà per primo l'incantesimo)”. Quando finii di recitare vidi i suoi occhi lucidi che mi guardavano con una espressione dolcissima.
Mi sentii attratto da lei. L'avrei voluta abbracciare. Seppi fermarmi, “non sono altro che un prigioniero”.
Forse lei comprese. Non lo so ma mi disse qualcosa di straordinario: “Tu sei il primo uomo che mi fa intravedere gli aspetti più belli della vita”. Io, il prigioniero lontano dalla sua casa, dai suoi affetti con una nostalgia corrosiva da mane a sera, avevo trasmesso ad una straniera gli aspetti più belli della vita?
Un'assurdità, un contrasto, una involontaria sottolineatura della mia condizione che tuttavia mi riempì di gioia ed orgoglio.
Ellen viveva al campo con il padre. Pensai che una donna giovane dovesse sentirsi una reclusa e che io rappresentavo un diversivo qualsiasi. Mi accorsi con il passare dei giorni che mi sbagliavo. Fu lei stessa a chiarire: “Mia madre era francese quindi il mio sangue non è tutto tedesco. Ho tanta sensibilità e amore per l'arte. Tu sei il primo uomo che mi ha rivelato una capacità di sentimenti mai provati. Come quello che provo per te”. Una volta, forse presaghi, ci eravamo detti: “Non importa se non ci rivedremo: basterà pensarci intensamente... qualcosa arriverà”.
Sì stasera suonerò per lei. La rivedrò in piedi vicino a me quando suonai per la prima volta da prigioniero nella sua casa fra i reticolati.
Questo primo concerto, il primo del mio dopoguerra, lo dedicherò a lei riversando nelle note l'amore di cui fummo capaci rinnovando la speranza di rivederci e la ringrazierò ancora per tutto il bene che da lei ho ricevuto: “Ovunque ella si trovi qualcosa le arriverà”.
Giovanni

24 commenti:

Tomaso ha detto...

Caro Giovanni come vedi il fiore è bello anche tra ireticolati.
sento che sei molto riconoscente verso i tuoi genitore, i genitori dovrebbero sempre esaudire i desideri dei propri figli.
Cioa cin un abbraccio forte.
Tomaso

Unknown ha detto...

bellissimo racconto, emozionante.

Tiziano ha detto...

un racconto bellissimo
emozionante e commovente,
un caro saluto a tutto il gruppo Seneca,

Tiziano

Lufantasygioie ha detto...

un racconto intenso ed unico.
Anche se non ho vssuto quegli anni,mi è sembrato di essere con voi,in quella stanza...
A volte ,anche dietro a grnadi brutalità,come solo una guerra può essere,possono nascere delle amcizie e degli amori inpensabili e forti
Lu

Giancarlo ha detto...

Ciao Giovanni, ho trovato il tuo racconto molto bello, e mentre lo leggevo nella mia mente ho pensato a mio nonno materno che della guerra mi ha raccontato tante cose, al punto che a volte mi sembrava di esserci stato anchio. Un sereno week end a Te...ciao

Edoardoprimo ha detto...

Straordinario racconto, grazie anche al tuo stile di raccontare.
Ti auguro un fine settimana fantastico. Edo
piesse, io avrei fatto delle ricerche per trovare, Ellen.

Adriano Maini ha detto...

Un racconto che scatena una tempesta di pensieri e di sentimenti, ma infine rimangono nitide le figure di due giovani che cercarono di ascoltare le loro corde più sensibili pur in quei terribili frangenti di guerra.

Sandra M. ha detto...

Bellissimo racconto. La cultura , la musica,...travalica i confini, unisce ed eleva.
Si legge tutto d'un fiato.

❀~ Simo ♥~ ha detto...

Un racconto emozionante.
Ciao Ambra, mi farebbe piacere assegnarti il premio "the lobster Award"
E' un riconoscimento per la fedeltà che mi hai accordato, se accetti puoi prelevarlo nella mia rollbar

Paolo Falconi ha detto...

Sono grato a Lei, Giovanni, perchè attraverso il suo bel racconto, ricco di notazioni sensibili, sono riuscito ad aggiungere altri tasselli al mio mosaico, alla mia ricerca, su un periodo doloroso condiviso anche da mio Padre ... un periodo che cerco di ricostruire, basandomi su quel poco che ci raccontava, su quanto sono riuscito a ricostruire da una sua memoria scritta, e soprattutto da internet e filmati visti in Tv (Rai Storia), cercando d'immedesimarmi. Mancava l'anima, mancava la poesia, la musica ... tutto quanto Lei è riuscito a descrivere arriva direttamente al cuore delle persone e rende molto bene l'idea dei sentimenti(in tutte le loro gradazioni), provati in quelle circostanze, utilizzando il linguaggio universale, che non conosce confini geografici e di tempo.

Grazie

Cavaliere oscuro del web ha detto...

Un racconto molto emozionante.

Anonimo ha detto...

la storia, la vita...bei sentimenti.

nanussa ha detto...

un racconto commovente e molto emozionante, ciao ambra felice domenica, :)

Lara ha detto...

Intenso, emozionante e scritto talmente bene che mi ero dimenticata dove mi trovavo io, adesso.
Grazie di cuore, Giovanni!
Lara

riri ha detto...

Caro Giovanni questo racconto mi ha suscitato forti emozioni, un pò come la tua musica, non saprei descriverle, dolore per il momento di prigionia, speranza nata da un'amicizia dolce ed intensa con la musica da sfondo, in un panorama così triste, ma con qualcosa di bello che è rimasto nel tempo. Grazie.

Krilù ha detto...

Grazie Giovanni per questo bellissimo ed emozionato racconto che, confesso, mi ha commossa profondamente.

Anonimo ha detto...

Che bella storia, mi ricordi alcuni film di Spielberg e lo stesso diario di Anna Frank.

Melinda ha detto...

Che bel racconto emozionante, complimenti!

civettacanterina ha detto...

Di prima mattina, leggere questo racconto fa bene al cuore, all'anima, ti eleva su di un piano superiore, ti aiuta ad affrontare la giornata....
Bellissimo bellissimo.

A te Ambra un buon giorno e come sempre ti ringrazio per le tue visite al mio blog
Buona giornata
Civetta Canterina

il monticiano ha detto...

Una storia veramente appassionante ed emozionante che mi riconduce ahimé ai tempi bui e tristi della seconda guerra mondiale che tu hai vissuto e sofferto in prima persona mentre io dal '40 al '45, ragazzino, l'ho conosciuta per la grande fame.
L'immagine in questo post la dice tutta: una rosa tra i reticolati.
I miei più sinceri complimenti anche per la musica di Beethoven che adoro.
Grazie e grazie anche ad Ambra che ci consente di apprezzare Giovanni componente del gruppo Seneca.
Un caro saluto,
aldo.

Carla, i colori...pensieri della mia mente. ha detto...

bellissimo ed emozianante racconto. Mi sono avvolta in attimi di riflessione. graziee GIovanni

Giovanni ha detto...

Grazie di cuore per tanta accorata partecipazione per questo racconto ispirato da una storia vera (un amico purtroppo ora scomparso). un amico del blog ha scritto "io l'avrei cercata". E' quello che è stato scritto ed omesso per motivi di spazio.
"la fine sebbene attesa giunse quasi improvvisa con il rombo dei motori dei carri armati americani"......"lei arrestata io liberato.........le urlai ti cercherò". La cercai con lunghe attese nei consolati e comandi americani. Nulla".
Un piccolo segreto. Anni dopo i protagonisti si ritrovarono. Si sposarono e rimasero insieme per sempre in Germania. giovanni

elisabetta ha detto...

...un film? Un racconto breve? la voce fuori campo di un documentario di storia? Che meraviglioso dono di verità universali... difficile lasciare commenti che non invadano tanta intensità. Grazie liz

Elettra ha detto...

Bellissima idea Ambra ,visitare il museo del bottone ,io li colleziono e tempo fa ho fatto un post su questa mia colorata raccolta , se vuoi potrai vederlo nel mio blog alla voce collezioni.
Divertitevi!!!!!