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giovedì 16 settembre 2010

Ospedale S. Martino di Genova - Quinta puntata

Nella seconda parte del ciclo subentrano complicazioni psicologiche anche per la stanchezza e per le prove cui il fisico è stato sottoposto. E poi si è fatta assillante l'ansia di rivedere Jacopo.
Il periodo più duro coincide con l'alterna vicenda dei globuli bianchi che hanno stentato prima a ridursi e poi a ricostituirsi.
Sono loro, i signori globuli bianchi, che decideranno quando e se si potrà tornare a casa. Sopraggiunge una fortissima congiuntivite e Giorgio dovrà stare per giorni bendato. E' un momento difficile che si aggiunge ad una situazione già impegnativa. Anche per noi che riusciamo a fargli sentire che siamo sereni e sorridenti. Riusciamo ad evitare premure eccessive: essere sempre misurati e comportarsi normalmente. Magoni, incertezze e dubbi non devono esistere. Soprattutto durante la convalescenza ed oltre, quando chi è uscito dalla malattia, porta dentro l'anima cicatrici tremende e tantissimi dubbi. E' sopraggiunto un caldo feroce. Globuli bianchi 1000. Piastrine ancora piuttosto basse. Quando sembra che stia arrivando il momento della partenza, le analisi impongono lo stop : globuli a 500 che presto salgono a 900, e ricompaiono le sacche per la trasfusione delle piastrine. Non si parla di trapianto. Giorgio freme. Teme si vada oltre i 100 giorni dalla remissione. Lo si può comprendere. La situazione si sblocca all'improvviso. Si risale la china insieme ai globuli bianchi: "trapianto fra un mese".
Si torna a casa. Sono le 20,30 di una dolce serata di luglio con una leggera brezza che viene dal mare, quando con l'auto entriamo in ospedale. Percorriamo quei viali così familiari invasi da tanta pace e silenzio. Salgo in camera di Giorgio per aiutarlo. Lo trovo già semivestito mentre si estrae dal braccio l'ago di una trasfusione appena fattagli in vista del viaggio. Freme dalla voglia di partire (meglio dire fuggire?). E' notte quando si parte. Mario è a Sestri con la famiglia e quando percorrendo l'autostrada, gli passiamo vicino, tramite il cellulare, gli inviamo un saluto notturno. Nella notte corriamo verso Modena e Mario è come fosse con noi. Nei giorni seguenti bisogna tornare a Genova per analisi ed esami del midollo. Molte altre analisi gliele faranno i colleghi di Modena : non c'è dubbio che essere medici facilita molto. Oltre Mario, l'ematologo già ricordato, si rivelano preziosissime le prestazioni di Pino anestesista, che ha praticato diversi interventi. Questi medici, coniugando la loro professione con l'essere amici, hanno contribuito alla copertura medica indispensabile nei periodi in cui Giorgio era lontano dal S. Martino.
E' venuto il momento di accennare al rapporto medici curanti e medico ammalato. E' un bene essere medici o è meglio l'ignoranza clinica? Credo non esista una risposta univoca: alle volte sì ed alle volte no. E' vero che è già tanto essere liberi dall'ansia del non sapere che ti faranno e quali rischi con esattezza corri. Ma alle volte benedetta l'ignoranza. Sono avvantaggiati i medici curanti nei confronti di un medico ammalato? Con mia sorpresa ho avuta una risposta negativa. In generale i medici sarebbero più ansiosi. Stando a quanto mi verrà detto anche recentemente, Giorgio è stato anche sotto questo punto di vista un'eccezione. Una volta impostata la terapia, ci lavorava sopra in solitudine e lasciava lavorare in pace i colleghi (testimonianza dei medici ). La caposala, un giorno mi dice: "E’ tanto bravo. Non chiede mai nulla e non si lamenta mai”. Abbiamo conosciuto in profondità il senso di una parola: solidarietà. Quella ricevuta e quella offerta. La solidarietà degli amici nei riguardi di Giorgio ci commuove, ma non ci stupisce come pure quella assidua dei parenti: prevedibile. Ci sorprende invece la partecipazione di persone con le quali siamo venuti a contatto occasionalmente, autentici estranei: cioè e forse proprio per questo toccante. Specialmente mi commuove il moto sincero di comprensione nei riguardi della mamma di Giorgio. Sapevamo che l'ematologia del S.Martino si è guadagnata un prestigio internazionale (i primi trapianti in Italia furono praticati nel 1976 da un grande ematologo il Prof. Marmont) eppure sentivamo il bisogno di "verificare", di trovare dei riscontri, quasi desiderassimo che i genovesi ci confermassero che eravamo in buone mani. Tutti i comportamenti della persona risentono della eccezionalità. Pensieri profondi come non mai in passato, si mescolano tranquillamente con ingenue puerilità.
Il nostro primo sondaggio lo facciamo con un vecchio tassista che doveva portarci in ospedale. Capisce al volo. Con l'accento genovese e la mimica di Gilberto Govi, ci offre la prima conferma che cercavamo somministrandoci una vera iniezione di fiducia. Ci parla di un suo amico che era uscito "da là" guarito ed ora si godeva la vita " bel giancu e russo". A proposito di tassisti ne voglio ricordare un altro (quando pioveva a dirotto andavamo in ospedale in taxi perché la nostra auto, una volta spostata non avremmo poi saputo dove parcheggiarla ). Piove, dunque chiamiamo il taxi. L'autista è imbronciato, taciturno, di cattivo umore. Giunti al S. Martino ci chiede dove dirigerci: " padiglione cinque ematologia". Comprende molto e non so ancora oggi come abbia fatto. Giunti a destinazione, ferma l'auto, scende, apre gli sportelli e senza proferir parola, a turno ci stringe la mano. C'è un altro episodio che vale la pena ricordare. Una mattina, dopo le spese e prima di recarci all'ospedale, entriamo in un bar. Ci sediamo ed ordiniamo due caffè. Il locale è solitario e gestito da due giovani sposi. Lei è ciarliera e simpaticissima. Il discorso cade di sfuggita sui motivi della nostra presenza a Genova. Al momento di congedarci la signora rifiuta di farsi pagare ed invece di slancio ci abbraccia. Servono queste cose? Risposta: "inimmaginabilmente tanto”. Allora esiste, al di là delle apparenze, un sentimento di solidarietà verso il prossimo? Credo di sì. Ricordo un altro episodio. Fra gli studenti ospiti dell'Istituto vi è Roberto, che studia ingegneria. Una sera, mentre cucinavamo, il fornello va in tilt. Siamo disperati. E' tardi, ma Roberto si fa consegnare il fornellino che ci restituisce la mattina successiva perfettamente funzionante permettendoci, sia pure con un piccolo ritardo, di non far mancare nulla a Giorgio anche quel giorno.
Come dimenticare le tre suore di passaggio che per qualche giorno hanno alloggiato all'Istituto ? Sono gentili e simpatiche. Una in particolare (Suor Anita) insegnante con spiccate capacità di entrare in comunicazione con il prossimo. Quando apprendono la storia di Giorgio e conoscono Mario (ormai con l'aureola del donatore) ci si affezionano e noi altrettanto. Una mattina partono presto. Tornano a sera: sono andate a fare un pellegrinaggio che hanno dedicato a Giorgio. Quando arriva per loro il giorno di lasciare Genova, ci diamo appuntamento per un ultimo saluto la mattina presto. Per me avviene l'incredibile: non avrei mai immaginato nella mia vivace e lontana giovinezza che un giorno avrei abbracciato delle suore.
G. Noera (fratello di Elio)
… continua alla sesta puntata
(Tutti i diritti riservati)

8 commenti:

Sandra M. ha detto...

La capacità d'essere solidali, il riconoscersi nell'altro, l'empatia , i piccoli grandi e amorevoli gesti: davvero gemme preziose.
Qesto racconto di vita cattura il cuore.

il monticiano ha detto...

Giorgio sono certo che tu ti salvi da
quella malattia perchè tu devi salvare molti altri per la professione che eserciti e che eserciterai a lungo.

Sandro ha detto...

Dice bene la mia omonima: è davvero un racconto di vita toccante che raggiunge il cuore e la mente e come un dono arricchisce.
Sandro

Cavaliere oscuro del web ha detto...

Questo racconto,veramente ti fa capire tanto e ti rimane dentro.Saluti a presto

Paola ha detto...

Ho letto questo e il precedente, e riconosco che da questa vicenda si riceve una ricchezza interiore non indifferente.Aspetto.....

GraficWorld ha detto...

Un bellissimo racconto. Ti auguro un dolce w.e.
Gio'

Ambra ha detto...

Un grazie di cuore a tutti quelli che seguono questo racconto di vita e questa vicenda che potrebbe toccare ad ognuno di noi ma che in genere scacciamo dalla mente per paura, prefigurandoci la impossibilità che capiti a noi, come qualcosa di remoto che non ci riguarda.
Grazie davvero e un sorriso di simpatia e gratitudine a quelli che lasciano scritto in un commento il loro pensiero e la loro partecipazione.

Gabe ha detto...

in realtà vorremmo non leggere certe vicende,fare come gli struzzi,ma poi ci rendiamo conto che affrontare la realtà e immedesimarsi nel dolore di chi è colpito,ci fa crescere e apprezzare di più la vita.un caro saluto