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mercoledì 25 settembre 2013

Viva l'anarchia (Renato P., ciclista anarchico)

SKYLINE DI MANTOVA DAL LAGO INFERIORE
(immagine ripresa da "Mantova nel cuore" di A.Giovannini, Pubblicazione Verona, Linea quattro edizioni, 2006)
Post di Doc
L’estate va sfumando e sulle Dolomiti imperversano nubi basse e acqua a catinelle. Non è tempo per camminate o infruttuosi giri alla ricerca di porcini. Varrebbe forse la pena di accendere il camino. La pigrizia prende il sopravvento. Lascio perdere. Rai Movie mi fa comparire il viso di Cucciolla ed in rapida successione quello di Gian Maria Volontè. E’ fatta! Rivedo dopo quarant’anni “Sacco e Vanzetti” e mi commuovo ancora sulle note della ballata di Joan Baez. Mi commuovo anche sulla chiusura del film, quando Volontè-Vanzetti con asciutta espressione prima di accomodarsi sulla sedia elettrica dichiara ”viva l’anarchia”.
Non ho mai avuto propensione politica verso gli anarchici, ma “viva l’anarchia” mi si insinua nel cervello, come un anomalo tormentone. Comincio a svolgere sul filo di associazioni antiche il ripescaggio di una trama, di ricordi, di un pezzo di vita lontana dato per rimosso.
Perché, mi chiedo, sono così toccato da un’elocuzione politica così distante dal mio abbastanza costante pensiero politico? Poi in un  lampo mi si materializza nella memoria una figura: Renato, ciclista anarchico.
Lo conobbi quando avevo 12 o 13 anni e lui esercitava il suo mestiere di riparatore di biciclette in un antro buio e profondo, non definibile come bottega, dalle parti del Ghetto di Mantova.
Ai lati dell’antro penzolavano bici inerti  in eterna attesa di proprietari distratti o insolventi ed uno sgangherato bancone raccoglieva pinze e camere d’aria rattoppate per un riciclaggio anticonsumista.  Insomma era una specie di vestibolo verso un’abside occupata da ripiani pieni di libri.
Erano libri vissuti che sapevano di morchia e nafta, religiosamente rilegati con quel nastro adesivo telato atto a ricoprire i manubri delle bici sportive di quel tempo.
”La Biblioteca“ raccoglieva le opere omnia di Andrea Costa, Banfi,  Cafiero e, ovviamente, di Bakunìn.
 L’abside era un proto”book-crossing” cui i più grandi o gli interessati potevano liberamente accedere,  prelevare, eventualmente depositare libri inerenti l’anarchia ed il socialismo.
 I pensatori marxisti erano banditi per problemi personali riguardanti Renato e Stalin.
Renato, smilzo, perennemente in tuta blu impataccata, ti accoglieva sempre con un sorriso sgangherato per la caduta non accidentale di alcuni  incisivi. I fascisti nei tardi anni venti e i comunisti in Spagna non avevano aiutato il suo sorriso. Una cicca esiziale di sigaretta marca Alfa pendeva sempre al lato della sua bocca. Renato era un pezzo di Storia e di tollerante Umanità.
Quando gli portavo la mia ammalorata Legnano rossa, manubrio rettilineo sportivo, cambio Campagnolo tre rapporti,  esordiva sempre affermando che i giovani non sapevano curarle, le bici. Asseriva che bisognava dedicare loro attenzioni raffinatamente virili. Poi entrava in fase diagnostica e arrotando le pupille dietro le sue spesse lenti da miope, sparava prognosi e costo della terapia.
Molti anni dopo, ho indebitamente pensato, che Enzo Jannacci scrivendo la canzone “la banda dell’Ortica” avesse in qualche modo visto il Renato e immortalato come palo della stramba consorteria.
Di fronte al caso Legnano se non aveva altre urgenze cominciava a lavorarci, ma pretendeva ascolto e così usciva uno tzunami di parole, un gramelot di padano, spagnolo e francese. Diceva, e non a torto che i giovani dovevano conoscere la storia dalla voce viva di chi ci era passato.
Renato, eternamente impataccato, si vestiva bene sempre il primo maggio, quando con garofano rosso sulla giacca e cravattino nero di anarchica, romagnola consuetudine si presentava con bandiera nera al corteo dei lavoratori. Il fatto è che lui lo aveva fatto anche durante il ventennio. Ciò gli aveva procurato alcuni pestaggi e traversate a nuoto del lago di Mantova per sfuggire ai poco tolleranti squadristi locali .Il commissario di P.S., lo blindava sistematicamente in guardina ad ogni transito per Mantova del Re, del Duce o del Farinacci di turno. Era schedato come sovversivo. Per lui era una medaglia al valore perché la classificazione di sovversivo aveva riguardato Pertini,  Gramsci, i fratelli Rosselli, alcuni dei quali conosciuti in confino o in esilio.
Sulla guerra di Spagna glissava un poco per via del trattamento poco fraterno agito su di lui e altri compagni anarchici da alcuni esponenti delle Brigate Internazionali, durante l’assedio di Madrid. Era riuscito a scappare in Francia dopo la vittoria del generale Franco. Durante la guerra era  entrato  nei maquis della Resistenza francese. Alla fine del conflitto era tornato alla base riprendendo il suo vecchio mestiere.
Ma ritorniamo al Renato ciclista. Le sue prestazioni potevano esser saldate cash, in natura con pacchetti di Alfa oppure posticipate in relazione a tempi migliori per le tasche del cliente. In genere pagavo. Altre volte andavano sul credito riconoscente ereditato dalle suture attuate da mio padre chirurgo, quando Renato arrivava in pronto soccorso con qualche lesione non esattamente professionale. Mio padre cuciva  bipartisan (compagni e fascisti) e aveva il pregio della discrezione. Non indagava. Ma Renato non menava, in genere subiva.
Il passaggio al motorino e poi all’auto ed altri territori di vita me lo fecero perdere di vista.
Un’altra estate, quella del '77.
Mi trovo a fare il medico condotto supplente in piccolo borgo a cavallo dello sbocco del Mincio nel Po.
Fu un’estate in cui le zanzare pensarono di non gradire la mia presenza in loco. Alla fine di quel mese di salassanti punture, un murales del mio sangue misto a cadaveri di anofele-stukas tappezzava il muro accanto al letto del mio alloggio. Mi spiegai, in allora, perché Virgilio celebrità locale, oltre all’Eneide, Bucoliche e Georgiche, avesse scritto il poemetto “Culex”ovvero la Zanzara.
Una mattina, la solerte Zelinda, infermiera-segretaria del collega, porgendomi la lista delle “domiciliari” mi asterisca il nome P.Renato, località Cà Brutta.
Alla mia domanda sull’asterisco la Zelinda mi chiosa ”caso grave”.
Preoccupato prendo la strada che passa su di un argine di virgiliana suggestione e ad un certo punto scendo verso una casa colonica un poco fatiscente.
L’aia è classica. Galline che razzolano, fabbricati poveri con intonaco scrostato, che sanno dell’antica fatica dei mezzadri. Piante di rosmarino odorose e di albicocco in frutto, ingentiliscono lo scenario.
Parcheggio la mia auto Bianchi A112 rossa, regalo di laurea e strumento di lavoro.
Da una piccola porta esce una signora dimessa che mi si avvicina con aria interrogativa “cerco il signor Renato P.”. Dubitativamente la donna mi chiede : ” ma è lei il dottore?.” Ho sempre dimostrato qualche anno in meno, ma in allora la cosa mi penalizzava professionalmente, tanto che cercavo di rendermi autorevole facendomi crescere la barba.
Al  mio annuire mi invita ad entrare.
Sembra parzialmente rassicurata dalla mia alta statura che mi obbliga ad inclinarmi un poco per superare la soglia.
Un buio andito dà accesso ad un tinello dove troneggia una fantastica cucina economica.
Sì, uno di quei manufatti geniali di un tempo atti a cuocere, riscaldare acqua e ambienti, ora ritrovabili in negozi chic a prezzi possibili solo per persone abbienti. Sul tavolo c’è un notevole numero di scatole di medicinali e di ampolle da fleboclisi. Accanto emerge un lavabo di quelli di ferro smaltato su un treppiedi con la brocca sotto ed un candido asciugamano di fiandra con un sapone di Marsiglia nuovo. Delicatezza d’altri tempi per i lavacri del dopo visita del dottore.
La signora dopo ragguagli rapidi sulle terapie in atto mi accompagna nella camera da letto. In un grande letto di ferro sormontato dalla foto di una coppia di statici genitori, giace Renato P.
Lo guardo e lui mi guarda. Scatta un rapido riconoscimento. Il suo sorriso deficitario, le sue lenti a fondo di bicchiere, il viso magro e scavato sono sufficienti per me.
“Renato, gli dico, mi riconosci?” un attimo dopo lui mi replica “Sei Franco, Legnano rossa, cambio Campagnolo, borghese.” La signora accanto ci guarda stupita. “Ti presento la mia compagna Libera” le stringo la mano e sorridendo ironizzo ”Certo, Renato, che la tua compagna non poteva avere che un nome così libertario. ”Con antica arguzia mi replica “Per la cronaca e l’anagrafe di primo nome fa Comunarda, di secondo fa Sciopera. E’ nata durante le settimane rosse del ’21 da padre bracciante. Per sopravvivere, dopo, ha dovuto usare il terzo nome, cioè Libera.”
Renato  non è, clinicamente,  messo bene. Le Alfa, il Lambrusco e la vita gli hanno procurato molti guai. Debbo applicargli una fleboclisi con un cocktail di farmaci predisposti.
Ho tempo, pertanto, dopo aver attaccato l’ago, di chiacchierare. Ma è lui che vuole sapere ed è contento che faccia il medico come mio padre e che voglia fare lo psichiatra.
Sono contento di poter restituire con la mia opera le sue tante gratuite opere sulla mia bici.
La flebo è finita.  Stacco l’ago e mi appresto a congedarmi.
Con fiato corto Renato mi ringrazia e mi chiede: “L’hai mai poi letto il Bakunìn?” Alla mia replica “ho avuto molto altro da leggere” lui ribatte: “sei proprio un borghese, non malvagio ma borghese”; mi attira verso di lui, mi abbraccia e lasciandomi col pugno chiuso esclama “ora e sempre viva l’anarchia!”.
Non l’ho più visto.
Doc



34 commenti:

Erika ha detto...

Un racconto veramente emozionante. Mi piacciono le descrizioni minuziose che ci dai dei personaggi e dei luoghi. Divertente quella del murales....

✿France✿ ha detto...

BOnjour je trouve cette photo très belle et très douce aussi
de superbes reflets bonne journée

Beatris ha detto...

Una bellissima immagine accompagna un grandioso racconto!
Un abbraccio e buona giornata da Beatris

Nella Crosiglia ha detto...

Ma che bella storia , dall'inizio ricordando il bellissimo film " Sacco e Vanzetti" , visto anch'io per l'ennesima volta recentemente..
Alla descrizione del Renato, alle bici, al carattere, alla campgna con le galline razzolanti, al povero amico malato ma vigile..
Che bel quadro Doc, grazie infinite per questa emozione che ci hai donato!

mr.Hyde ha detto...

Che bel racconto commovente, ricco di ricordi e di umanità.La splendida figura di Renato e il film, la canzone: I song to you Nicola e Bart..
Un bel post davvero.

Tomaso ha detto...

Un racconto che esalta la realtà di un tempo, caro Doc.
questi racconti affascinano tutti, e vorreste che non finissero mai!!!
Tomaso

Ambra ha detto...

Un dipinto il tuo racconto, ricco di pennellate magicamente distribuite sulla tavolozza di carta. Ne esce l'immagine tenera e un poco struggente di un riparatore di biciclette burbero, ma gentile, innamorato della bicicletta e di Bakunin, fedele a se stesso. Un personaggio d'altri tempi e luoghi, commovente.
Il tuo sguardo così curioso e attento al dettaglio si inserisce nel ritmo serrato e puntiglioso della narrazione del viaggio del giovane medico e della visita al riconosciuto paziente, narrazione tanto viva da consentirti di vedere la scena come in un film.
Intenerisce quel definirti "borghese", espressione tipica di un tempo che sembra si sia perduto nelle nebbie del passato.
Un racconto carico di grande umanità e rispetto per l'altro.

nanussa ha detto...

ma che bellissima storia!!
anche l'immagine e' unica e molto bella.
felice giornata :)

Cri ha detto...

Incontri preziosi con individui singolari per i loro contorni intensi, vigorosi e genuini, che arricchiscono il bagaglio della propria esperienza di vita e fanno un po' invidia in chi non li ha vissuti e non potrà mai farlo; perché gente così, al giorno d'oggi, si è estinta, insieme a tutti gli altri riferimenti ad un mondo a misura d'uomo che è arrivato fino a lambire la mia infanzia e adolescenza, e ora non esiste più...

இڿڰۣ FLO ha detto...

elle est très belle votre photo

Anonimo ha detto...

Bello da coinvolgere parola dopo parola
Un Grande saluto
A presto

il monticiano ha detto...

Complimenti Doc, sinceri e veri: Una storia questa che hai scritto commovente ed emozionante ma stracolma di calore umano. Un personaggio mitico come Renato sarebbe oro per uno sceneggiatore che lo trasferisca così com'è in un film perchè molti ne vengano a conoscenza.. Grazie per queste parole piene di vera umanità.
Il film 'Sacco e Vanzetti' l'avrò visto almeno cinque volte.
Un salutone a te e ad Ambra,
aldo.

La lanterna dei sogni ha detto...

Che storia quella di Sacco e Vanzetti...
Ma anche quella emozionante e coinvolgente dell'"anarchico" Renato, così dettagliatamente descritta!

Complimenti al Doc!

✿France✿ ha detto...

JE viens te souhaiter une belle journée

Cavaliere oscuro del web ha detto...

Che bel racconto!
Saluti a presto.

fioredizagara ha detto...

UN racconto commovente che ci fa riflettere.Buona giornata

Melinda Santilli ha detto...

Non so se sia un racconto o uno spaccato di vita, ma mi è piaciuto molto e mi ha fatto riflettere. A pensarci bene è da un pezzo che non rivedo Sacco e Vanzetti.
Un abbraccio

Alessandra ha detto...

bello e intenso racconto...felice di averti letto!!..grandiosa la foto!!

Gabe ha detto...

un racconto fluido,molto commovente

doc ha detto...

èun lontano spaccato di vita.doc

Lufantasygioie ha detto...

a leggerti non ci si annoia.
A presto
lu

@enio ha detto...

deve essere stata dura anche per i nostri immigrati all'estero... speriamo non si debba ricominciare con questa disoccupazione giovanile e senile in aumento.

Vento di Passioni ha detto...

Ottima foto per un'ottimo racconto... uno spaccato di realtà che si ripete.
Un'abbraccio cara Ambra,il mio blog CUORE MAGICO non esiste più,ora che son tornata vieni a trovarmi su Vento di Passioni.Buon fine settimana!
Gabry

riri ha detto...

Grazie per quest intenso racconto. Un caro saluto a tutti voi e buon fine settimana.

riri ha detto...

Grazie per quest intenso racconto. Un caro saluto a tutti voi e buon fine settimana.

Blogaventura ha detto...

Una storia bellissima, importante... poi io, che sono un grande appassionato di bici, rimpiango sempre quelle botteghe, come tu descrivi, polverose e buie in cui venivano riparate le bici però, sai, io pezzette e bacinella per riparar le ruote le uso sempre. Un salutone, Fabio

Blogaventura ha detto...

Una storia bellissima, importante... poi io, che sono un grande appassionato di bici, rimpiango sempre quelle botteghe, come tu descrivi, polverose e buie in cui venivano riparate le bici però, sai, io pezzette e bacinella per riparar le ruote le uso sempre. Un salutone, Fabio

Erika ha detto...

Buona domenica!!!

José María Souza Costa ha detto...

Ciao.

Deseo, un dia del domingo, muy bueno.
Abrazos del Brazil.

Cristina ha detto...

Un racconto intenso e commuovente

Carmine ha detto...

un gran bel racconto di vita

Sandra M. ha detto...

Un affresco poetico, scritto magistralmente come tutti i tuoi racconti.
Comunarda, Sciopera, Libera...che mito.

Giulia ha detto...

Suggestiva e bellissima questa foto, Il post è scritto con tale ricchezza di immagini e colori che si snoda davanti agli occhi come un bellissimo film.

SG ha detto...

Caro doc, finalmente sono riuscita a leggere il tuo racconto e, come sempre, mi è piaciuto molto e, come sempre, ha avuto un effetto particolare su di me.
Per essere più chiara, non so se è perché sono ipovedente o per come scrivi tu, io partecipo al tuo racconto in prima persona come se vedessi quanto tu racconti perché con poche parole riesci ad illustrare le situazioni, i luoghi e i sentimenti. Bravo!
SG