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lunedì 23 febbraio 2009

In viaggio. Alla ricerca del tempo perduto.

Quell’estate stavo raggiungendo i miei genitori a Livigno, per le vacanze estive. Il viaggio mi piace molto, molte volte la motivazione del viaggio è stata più forte di quella del soggiorno estivo in questa pur bellissima valle.
Strada lunga e tortuosa, 220 chilometri, tratti rettilinei che ti annebbiano la mente tanto sono dritti e noiosi, improvvise arrampicate tra tornanti e strade strette, il motore che arranca, l’odore di olio e di benzina che entra nell’abitacolo, i finestrini abbassati ed il profumo dei pini e dell’alta montagna e dei pneumatici che stridono e mescolano le loro note alla musica dell’autoradio…. …ecco, in questo viaggio, fatto cento e cento volte, affascinante, mi ritrovo a pensare. A pensare che mi piacerebbe fare qualcosa, qualcosa in questa vita che non va come dovrebbe, troppo spenta, ripetitiva, priva di emozioni e di spunti, con un lavoro terribile e le relazioni sociali quasi inesistenti…. e quanti bisogni, quanti bisogni degli altri, sicuramente esistenti e che possono incontrare i miei bisogni, come fare, cosa fare, dove buttarsi? Arrivato alla meta parcheggio l’auto, come ogni volta, mentre i miei genitori scendono a salutarmi ed io come ogni volta apro il cofano motore per far respirare, finalmente, la mia piccola che anche stavolta ce l’ha fatta…. ecco, in quel momento comunico la decisione, presa durante il viaggio, un viaggio di tre ore che è il viaggio di una vita: “voglio fare del volontariato”. Loro, stupiti ed anche abituati alle mie sparate senza seguito non mi ascoltano e mi aiutano a scaricare le valigie. A pranzo gliene parlo, metto a fuoco con loro, ancora non consapevoli della mia decisione presa: “quando torno a Milano contatto qualche associazione, farò volontariato”. Dopo un anno dal mio primo contatto con Seneca mi viene assegnata un’assistita. Mi viene presentata come un personaggio un po’ particolare, non semplicemente un’anziana, ma una persona impegnativa psicologicamente perché psicologicamente un po’, diciamo, ecco, complessa. Accetto con riserva. Mi telefona. Fissiamo un incontro. Ecco, sono dentro, ma non ho ancora deciso nulla. L’impressione telefonica è positiva, molti interessi, una dialettica semplice ma ricca di contenuti. Quella domenica salgo le scale di corsa, fino al terzo piano, mi accoglie…. con simpatia e cordialità come aveva fatto fino a quel momento con le decine di persone che aveva contattato attraverso varie associazioni. Mi sento un numero, mi sento l’ennesimo che ci prova. Al mio ritorno a casa scrivo a Roberta che non so se me la sento, la situazione è difficile, non riesco a capire il mio ruolo in questo turbine nel quale l’assistita appare come una “mangia volontari”. Roberta non insiste, io sono frastornato da quello che ho visto e da quello che ho sentito. Fisso un secondo incontro pieno di incertezze, non mi sarei aspettato una donna così diversa da tutti gli anziani che avevo finora conosciuto, così diversa dai miei nonni, così diversa dall’immagine che abbiamo dell’anziano bisognoso di cose molto pratiche e molto concrete. I bisogni che mi venivano richiesti non erano pratici, il bisogno era solo uno: quello di entrare nel suo mondo invisibile e di condividerlo, di accettarne le interpretazioni, di giudicarne gli aspetti. Sono due anni che seguo ogni domenica la mia assistita, la mia prima ed unica assistita. Ho accettato la sua realtà, ho cercato di cambiarla ma ho fatto di più, l’ho condivisa. Mi ci muovo bene ormai, vedo con i suoi occhi, sento con le sue orecchie. Posso proporre interpretazioni, aggiustamenti, ma sono li’ e vedo quello che solo lei vede e che finora nessuno ha visto. La accompagno nella sua costruzione dopo aver capito che ha un senso, per lei, di vitale importanza. Sono orgoglioso del mio lavoro, del mio piccolo lavoro, io piccolo ragazzo so che è così semplice portare un aiuto, una condivisione…. ora lo so, tanto tempo è andato perduto e non lo sarà più. Volontariato non significa aiutare gli altri, ma riempire i nostri pochi giorni, quelli che ci rimangono, con qualche significato, qualche senso, qualche cosa che possa farci dire: ho donato parte di me incondizionatamente. Egoisticamente. Cosa c’è di più bello di due egoismi che si incontrano e che, insieme, sanano in parte le sofferenze del vivere? Guardo il motore della mia amata macchina stanco per avermi fatto arrampicare su per la valle. Ora posso capire che c’è qualcosa oltre, che ci sono persone che hanno bisogno, che la mia vita puo’ essere qualcosa di sensato. E che il mio amore puo’ essere moltiplicato, e che puo’ estendersi anche oltre gli oggetti inanimati. Persone. Siamo persone e siamo in mezzo alle persone. Cerchiamo di rendere questo viaggio il meno doloroso possibile e se possiamo, e tutti lo possiamo fare, porgiamo un fazzoletto di conforto e di aiuto a chi sta piangendo. Con questo gesto le prime lacrime che asciugheremo saranno quelle della nostra anima. Fabio
image CC by wili_hybrid

2 commenti:

Ambra ha detto...

Sono tante le espressioni toccanti nella tua testimonianza, Fabio.
Già quella finale è bellissima. Ma questa poi "Cosa c’è di più bello di due egoismi che si incontrano e che, insieme, sanano in parte le sofferenze del vivere?" è così vera e profonda.
E consolante.
Ambra

mimma ha detto...

Bello, Fabio, il racconto della tua folgorazione sulla strada per...Livigno.
E ancor più bello il risultato: come tu sia riuscito, grazie alla tua profonda sensibilità, a superare le difficoltà iniziali e ad arrivare a condividere il mondo di questa anziana non convenzionale.
Parli di egoismo, ma io quello che vedo in te, la definirei solo generosità.