1

Benvenuti nel blog collettivo creato da Ambra

giovedì 7 giugno 2012

Che cos'è la poesia?

Lawrence Alma Tadema. Saffo e Alceo
Un testo di Giulia Niccolai che sia Fabrizio che io (Ambra) vorremmo condividere con voi.

Ciò che è “poesia” per l’uno, non lo è necessariamente per  l’altro.

Giampiero Neri sostiene addirittura che poesia sia “ipotesi”, e sono d’accordo con lui.
E’ dal 1998 che, a ogni lettura pubblica che mi capita di fare, racconto l’episodio e leggo la poesia che seguono, e una sola volta, una singola persona visibilmente emozionata, ha voluto ringraziarmi pubblicamente per quanto avevo appena raccontato.
Certo può essere che in tutte le altre occasioni le persone presenti non avessero voglia di dichiararsi o di esporsi, ma sono soprattutto portata a credere che a loro quanto sto per raccontare non dicesse granché, o li avesse lasciati del tutto indifferenti.
Era il 1997 e dopo un Convegno sulla pace al quale ero stata invitata a Hiroshima, gli organizzatori ci portarono  a visitare i templi più famosi di Kyoto.
Eravamo nel grande tempio Sanjusangen do, rinomato per le 1001 statue di Bodhisattva che ospita. I Bodhisattva sono i figli dei Buddha, coloro che sono già particolarmente avanzati sul cammino spirituale del Buddismo Mahayana. 10 file di sculture in legno, ognuna di 100 personaggi quasi a grandezza naturale, ognuno con un’espressione diversa, così come sono diversi gli abiti e certi dettagli delle posture. Al centro, 3 volte più grande di tutti loro, Kannon, il Buddha della Compassione.
Stavo osservando e confrontando tra loro alcuni Bodhisattva di fronte a me, quando il monaco che ci accompagnava ci spiegò in inglese che “Sanjusangen do” in giapponese vuol dire 33.
Come mai 33? pensai sorpresa. Ma il monaco proseguì con queste parole: il salone che ospita le statue dei 1001 Bodhisattva è sorretto da 35 colonne. 33 sono gli spazi vuoti tra le colonne.
«Capii subito che filosoficamente, / il fatto di dare il nome al tempio / in base al numero degli spazi vuoti, / dunque a ciò che non c’è, / può essere interpretato / come la garanzia più elegante, / squisitamente Zen, / di non escludere mai niente, / e nessuno».
Questa esperienza rappresentò per me un attimo di altissima poesia: felicità e gratitudine, del tutto identiche a  ciò che si prova leggendo un testo che ci tocca nel profondo, o ci fa da specchio, o ci rivela qualcosa a cui da soli, non eravamo ancora arrivati. E’ “poesia” un senso di stupore e meraviglia per la straordinaria bellezza della “cosa” (pensiero, immagine ecc.): una sorta di momentanea sospensione del giudizio critico e dunque della nostra concettualizzazione.
Si tratta di “poesia” quando dopo lo Still point (quell’attimo di sospensione che la mente ha dopo aver letto un testo rivelatorio), si prova la gioia della gratitudine e non la neutralità dell’indifferenza. Fisicamente si possono avvertire  anche dei brividi sulla pelle.

In seconda elementare la maestra ci lesse Rio Bo di Palazzeschi e mentre la declamava, io divenni per la prima volta consapevole della tristezza della luce elettrica nell’aula, data da  quattro bocce di vetro bianco pendenti dal soffitto altissimo. Evidentemente la delicata, lieve nostalgia espressa da Palazzeschi in quei versi brevissimi, mi fece provare un’emozione ancora sconosciuta, qualcosa di simile allo spleen. Fatto sta che da quel momento, i versi di Rio Bo indissolubilmente legati alla luce debole delle bocce bianche, risaltano ancora adesso nitidi e simbolici sopra ogni altro vago ricordo di quegli anni.

Calvino si augurava che la scuola riprendesse l’abitudine di far studiare a memoria le poesie agli studenti, perché le poesie che lui stesso aveva appreso a memoria, gli avevano poi tenuto compagnia per tutta la vita. Credo che molti di noi siano d’accordo con  Calvino.
Ma c’è qualcos’altro da dire a questo proposito. In inglese e in  francese “imparare a memoria” si dice “to learn by heart” e “apprendre par coeur” e  per il Buddismo la mente è al cuore. (Il corpo è alla testa - dove ci sono quattro delle cinque porte dei nostri sensi - e la parola è alla gola). Nei loro studi i Lama tibetani hanno l’obbligo di imparare a memoria centinaia di pagine di insegnamenti. Così – mi disse un giorno un Lama -  non abbiamo più bisogno di leggere nei libri, leggiamo nella mente, e questo ci insegna a leggere nella mente degli altri.

Evidentemente alle medie il verso del Pascoli “…mi ride al cuore (o piange) Severino…” deve avermi particolarmente colpito, forse perché non riuscivo a capire come il cuore potesse ridere, o piangere. Non ero nemmeno consapevole di ricordarlo (il solo verso, con il successivo, di tutta la poesia), ma è affiorato di colpo, come per una sua paziente rivalsa, dopo cinquant’anni, quando una quindicina di anni fa ebbi la chiarissima percezione del  riso che mi saliva dal cuore.
“il paese ove, andando, ci accompagna / l’azzurra visïon di San Marino”. Ecco, quell’”azzurra visïon” che accompagna il Pascoli deve essere stata per lui la poesia.
Così come per il poeta inglese Housman devono esserlo state “… Those blue remembered hills…”. Paesaggio azzurro e noto, minuscolo sullo sfondo, di una bellezza struggente, come in un quadro del Rinascimento. Proprio perché secondari rispetto alla figura umana in primo piano e dunque meno nitidi e precisi, quei paesaggi non ci stancheremmo mai di fissarli. E forse è il nostro eccessivo desiderio di conoscerli e di restarne avvolti, a renderceli elusivi e sfuggenti. Elusiva e sfuggente  è anche la poesia.

Per moltissimi anni, l’estate, quando mi trovavo in vacanza sulle nostre coste o nelle isole,  magari senza parere, ma scrutando la superficie dell’acqua, cercavo conferma di quel “violaceo mare” o delle “onde color del vino” di Omero. Non li vidi veramente mai, anche se un paio di volte riuscii a illudermi di averli scorti.
Mi apparvero invece evidenti e inconfutabili verso la metà degli anni Novanta, una tarda mattinata di agosto, nel Mare Egeo, su un traghetto che da Rodi mi portava all’isola di Simi, e provai un tuffo al cuore, un attimo di intensa felicità per la tanto attesa e finalmente avvenuta  dimostrazione  dell’ attendibilità di quel particolare colore e della similitudine così appropriata.
In questo momento ricordo anche la delusione che provai visitando per la prima volta il Museo Archeologico di Atene quando ero ancora al liceo. La delusione riguardava me stessa. Ero emozionata all’idea di andare ad Atene e di vedere le statue di quegli dèi ed eroi che avevo imparato a conoscere dagli studi, ma quando me li trovai di fronte, non mi dissero quasi niente. Li trovai belli e nient’altro.  Non seppi raggiungerli. Nessuna emozione. Loro stavano là, e io mi trovavo al di qua: ci separava un velo d’indifferenza.
La stessa reazione sconfortante la ebbi nel 1967, quando tornai per la seconda volta in Grecia, e avevo già più di trent’anni.
Ma la terza volta, a metà degli anni Novanta (la stessa del “violaceo mare”), mi bastò vedere nella vetrina di un negozio per turisti la riproduzione di quel mezzo busto di Eracle con indosso come un cappuccio la testa con le fauci spalancate del leone sconfitto, per sentire di aver finalmente ritrovato una amico, il caro vecchio compagno di un tempo.
E così l’Auriga di Delfi, coi suoi occhi in pietra dura, bianchi e marroni nel volto verde di bronzo, i disarmanti e orientali sorrisi dei kouros e delle korai, Zeus, Athena, Hermes. Nonché quelle figurine nere o color terra che danzano e interpretano i loro ruoli mitici in cerchio, attorno a piatti, coppe, vasi e crateri, cifre simboliche dell’inestinguibile gioia di vivere, impresse su tutte le superfici in ceramica degli oggetti quotidiani di allora.
Il Mito non era più solo racconto, la vita l’aveva reso reale. Archetipo ed esperienza.
Ho menzionato solo spezzoni di versi, poche parole, minime come i tasselli di un mosaico, ma sono quelle che, per una ragione o per l’altra, mi hanno regalato le emozioni più autentiche.
La sera di una decina di anni fa, all’ora di punta, mi trovavo schiacciata come una sardina in un vagone della metropolitana qui a Milano. Mi sentivo sudata, a disagio, imbarazzata e proprio in quella situazione così negativa ebbi per un attimo la percezione del meraviglioso senso epico  dell’esistenza. Un’apertura del cuore, uno spazio interno infinito che abbracciava il mondo  e risaliva lontano, lontano nel tempo, diciamo ad Omero. Oh sì – pensai – questo è frutto della capacità di rinuncia, questa è poesia.

Il primo viaggio, scritto nel 1999, racconta del primo viaggio che feci (negli anni Ottanta) dall’aeroporto di Bangalore nel sud dell’India fino al monastero buddista tibetano di Sera Je a un 150 chilometri di distanza verso ovest, dove nel 1990 avrei preso i voti di novizia. Questi i versi di chiusura: «Ma eccomi tornata al mio posto nel taxi / su uno dei sedili sfondati / (musica araba a tutto volume / come di costume, e incenso che brucia / davanti alle divinità sul cruscotto), / calamitata al finestrino dallo stupore / dalla meraviglia alla vista di certi termitai / a lato della strada, alti più di un metro, / di terra rossa, gotici e turriti, / ampi ed elaborati, laboriosamente / costruiti, in disarmante somiglianza / con i castelli di sabbia più belli / della mia infanzia. E mi sembra di intuire / che proprio in questa analogia / (che ancora mi sa incantare) / ci sia, appena celato, quel magico filo / che è riuscito a creare un rapporto / tra le cose più remote, / tra gli anni più lontani e divisi, / che è riuscito a trasformare / una realtà in un’altra realtà, / intrecciando nella mia vita / il salvifico senso della continuità».

Giulia Niccolai

30 commenti:

nanussa ha detto...

molto interessante questo post.

ciao ambra ti auguro un sereno e felice weekend ;)

Sciarada ha detto...

Credo che chiunque abbia ringraziato e ringrazierà in futuro Giulia Niccolai per questo capolavoro che scaverna l'anima delicatamente a mani nude, l'abbia fatto e lo farà perché "riconosce ciò che c'è scritto come parte di sé", pur non essendo mai stato personalmente capace di esprimerlo!
Grazie a Giulia, Ambra e Fabrizio

Galatea ha detto...

Grazie per avermi fatto conoscere questo testo.

La poesia è il salvagente
cui mi aggrappo
quando tutto sembra svanire.
Quando il mio cuore gronda
per lo strazio delle parole che feriscono,
dei silenzi che trascinano verso il precipizio.
Quando sono diventato così impenetrabile
che neanche l’aria
riesce a passare
Kahlil Gibran

Fabrizio ha detto...

Cara Ambra ,volevo sorprenderti per la mia inusuale rapidità nel comparire!!!!Volevo ringraziare tutti e ovviamente te per i gentili commenti.Non so se Giulia riuscirà a lasciare un post visto la sua avversione x la tecnologia!!

Sandra M. ha detto...

Me lo son proprio bevuta tutto questo testo e man mano avanzavo nella lettura diventava sempre più nitida un'immagine (potere evocativo delle parole che colpiscono nel profondo)accompagnata da rumori e odori: un tramonto sul mare e i miei passi tra le rovine di Selinunte, luci ed ombre lunghe, l'irrispettoso saltare tra una colonna e l'altra ..enormi ...distese...addormentate ma non sconfitte. Un ricordo potente che avevo rimosso.

Unknown ha detto...

Questo magico scritto mi ha suggerito che, forse, quando si ha l'impressione di aver già vissuto un determinato momento, è "Un’apertura del cuore, uno spazio interno infinito che abbraccia(va) il mondo e risal(iva) lontano, lontano nel tempo".
Ciao Ambra
Cristiana

zefirina ha detto...

ho iniziato ad amare la poesia già da adolescente, un amore che non si è mai assopito, ogni tanto rubo qualche verso e lo scrivo nei miei quaderni per rileggermeli quando ne ho bisogno

Adriano Maini ha detto...

Sono perfettamente convinto del fatto che poesia é ciò che prende nel profondo, dal che discende un notevole grado di soggettività nei giudizi estetici.
Fantastico il riferimento al violaceo del mare: io ho ritrovato sovrapensiero sfumature bronzee o di rame di... altri autori.
E la musica araba? L'adoro! Mi fermo qui. Altrimenti ti faccio un post... :))

Gabe ha detto...

bellissimo testo,grazie di averlo condiviso,complimenti a Giulia

Annamaria ha detto...

Grande questo testo, grande la sensibilità che c'è dietro e da cui nasce! Grandi gli accostamenti di vita, paesaggio, poesia...
GRAZIE!!!

il monticiano ha detto...

A voi tutti il mio sincero ringraziamento perché con questo post mi avete dato la possibilità di comprendere molti momenti "magici"
della vita.

Cavaliere oscuro del web ha detto...

Grazie per avermi fatto conoscere questo testo.
Saluti a presto

Gente Comune ha detto...

Francamente ho sempre considerato da musicista qualcosa di statico. Ma attraverso questo testo scopro che non è così.
Raffaele

Pupottina ha detto...

la poesia è un mistero che solo in pochi sanno gestire, sviluppare, esprimere. interessantissimo il tuo post.

^____^ buon weekend a tutti i componenti del blog collettivo

Luigi ha detto...

splendido post: da leggere e da rileggere, perchè la poesia, comunque la si definisca, è parte essenziale della nostra vita!!!

Lufantasygioie ha detto...

la posia è arte,è magia.
Buon fine settimana
Lu

Soffio ha detto...

un ciao ad Ambra e a tutti voi

Achab ha detto...

Bellissimo post,buon fine settimana a voi e alla cara Ambra.

Giancarlo ha detto...

La poesia....musica per il cuore! una buona serata e felice inizio settimana a te...ciao

Giovanna ha detto...

una splendida poesia che riempie il cuore

lucietta1 ha detto...

Bellissimo post! Concordo con il fatto di imparare a memoria ,io insegno alle superiori e mi dedico a far imparare a memoria anche le poesie perchè sono convinta che saranno di compagnia quando saremo anziani e a volte soli.Tutto ciò che esprime emozione dell'anima per me è poesia.Un caro saluto a tutti!

L'infinito di Crib ha detto...

Vera e reale la poesia a volte è la parte mancante della vita e si mostra convincente in un attimo, appare nella realtà, ma ti porta via nel passato, nel futuro, dentro o fuori di te, ovunque e ti solleva sei pioggia, vento, sole, nebbia qualsiasi cosa basta che ti porti via. E' una carezza che doni a te stessa per placare, per amare, per aver coraggio di guardare chi sei, cosa vuoi, cosa credi e speri. Una strana nebbia ti avvolge e la poesia soffia via. E quando incontri la poesia e la leggi scopri la bellezza dell'umanità.

riri ha detto...

Intanto, grazie! Un post bello che ho letto con piacere, la poesia è l'incontro con l'anima delle cose, con la nuda realtà della terra e la descrivi bene tu con i pensieri profondi e il tuo avvicinarti al mondo attraverso immagini e sensazioni profonde.Un abbraccio grande!
Buon inizio settimana a tutti voi.

Carmine ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Carmine ha detto...

post impegnativo ma che fa ritemprare, ho apprezzato molto il testo del post ma c'è anche una differenza della poesia di chi la scrive e di chi la sente, io non sono scrivere poesie, non so dare corpo alle miei emozioni e neache fare emozionare gli altri, ma al suono di certe poesie alle loro parole suscitano in me una particolare gioa e piacevolezza, per queste ringrazio chi le scrive, chi mi fa vivere sensazioni bellissime che magari non fanno parte della mia vita ma posso permettermi di condividerle

La lanterna dei sogni ha detto...

La Poesia è un nutrimento della nostra anima.

Adriana ha detto...

Bellissimo, cara Ambra!

Roscio ha detto...

Un post a 360°, come la poesia. Semplicemente "VITA". Ciao

Vania ha detto...

Grazie di cuore Giulia, Ambra e Fabrizio. Un post meraviglioso, ho sentito una grande emozione in questi ricordi. Pensieri e voli al passato, ed ancora al presente, in un turbinio di frasi colorate tra poesia e storia, profumi e scintille di Dèi ed eroi, paesaggi lontani e vicini, mistici e ascetici, puri e spirituali, per poi ritornare al presente con la consapevolezza, che niente nella vita è perduto. Quel tesoro nascosto di poesie o frasi studiate o lette tra libri o dove chissà... rimangono in noi,ad arricchirci, ogni qual volta la mente si lascia andare per ritrovare immagini e sensazioni che ci accompagneranno per tutta la vita.
Un caro saluto e un abbraccio.

Giancarlo ha detto...

Ciao, non riesco ad inviarti il mio indirizzo lo faccio qui ..
(Pensierino50@gmail.com )